CIRCOLARE LEGALE n. 13-2024

  • 3 mesi fa

La conversione in legge del “Decreto Salva Casa”

 La conversione in legge del “Decreto Salva Casa”
 Il 27 luglio 2024 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 175, la legge 24 luglio 2024, n. 105 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 (cd. “Decreto Salva Casa”), recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica, entrata in vigore il 28 luglio 2024.
Finalità del provvedimento 
Le modifiche del D.L. 69/2024 sono essenzialmente finalizzate a semplificare le procedure di regolarizzazione di difformità edilizie di minore rilevanza.Resta, infatti, esclusa la possibilità di sanare abusi gravi (quelli che incidono sulla commerciabilità stessa degli edifici, definita anche «commerciabilità giuridica») quali l’assenza del titolo abilitativo o la totale difformità dallo stesso, che non consentono di concludere validi atti di compravendita di un immobile (ma anche di divisione di diritti reali immobiliari), in quanto il bene è incommerciabile non potendo essere resa in atto la prescritta menzione del titolo edilizio, reale e riferibile all’immobile negoziato.Si tratta, in sostanza, delle prescrizioni poste, a pena di nullità, dagli artt. 40 della legge 28/02/1985 n. 47 e 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il testo unico in materia edilizia (T.U.E.), che prevedono una «nullità testuale» dell’atto (e non sostanziale in quanto derivante dall’abuso edilizio), secondo le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni unite con la sentenza 22 marzo 2019 n. 8230.Contenuto del provvedimentoIn sintesi, è stata resa più semplice la procedura di attestazione di “stato di legittimo” e ampliate le fattispecie di mutamento di destinazione d’uso o di tolleranze costruttive ed esecutive ma, soprattutto il legislatore ha attuato la semplificazione della sanatoria attuabile mediante accertamento di conformità, svincolandola dalla necessità della “doppia conformità”, ma solo con riferimento alle parziali difformità (art. 34 del T.U.E.) e alle variazioni essenziali (art. 32 del T.U.E.).Le novità apportate al T.U.E. dal D.L. 69/2024, come modificato, in sede di conversione, dalla L. 105/2024, riguardano principalmente:       ● la disciplina sulle deroghe in materia di distanze tra fabbricati (per agevolare il recupero dei sottotetti) (art. 2-bis);       ● la disciplina dell’edilizia libera (con ampliamento delle fattispecie) (art. 6);       ● le modalità di accertamento dello stato legittimo del fabbricato (art. 9-bis);       ● il mutamento di destinazione d’uso (art. 23-ter);       ● l’agibilità (con modifica dei requisiti in termini di altezza e superficie degli alloggi) (art. 24);● gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali (art. 31);       ● le variazioni essenziali (art. 32);        ● gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34);       ● le tolleranze costruttive ed esecutive (art. 34-bis);       ● casi particolari di interventi in parziale difformità (art. 34-ter);       ● l’accertamento di conformità (art. 36 ed art. 36-bis);       ● gli interventi eseguiti in assenza o in difformità della S.C.I.A. (art. 37) 
Esame delle modifiche introdotte dal D.L. 69/20241. Recupero dei sottotetti in deroga alle distanze tra fabbricati (art. 2-bis del T.U.E.)
Il comma 1-quarter prevede che, al fine e di incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa limitando il consumo di nuovo suolo, gli interventi di recupero dei sottotetti siano sempre consentiti purché ci sia il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, a condizione che siano rispettati i limiti di distanza vigenti all’epoca della realizzazione dell’edificio, che non siano apportate modifiche, nella forma e nella superficie, all’area del sottotetto, come delimitata dalle pareti perimetrali, e che sia rispettata l’altezza massima dell’edificio assentita dal titolo che ne ha previsto la costruzione.
Edilizia libera (art. 6 del T.U.E.)
Sono state introdotte modifiche all’articolo 6, comma 1, del T.U.E. finalizzate ad ampliare le
categorie di interventi che possono essere eseguiti in edilizia libera, ovverosia quegli interventi che
non richiedono alcun titolo abilitativo, né permesso e/o comunicazione preventiva all’ufficio
tecnico del Comune, ricomprendendo anche la realizzazione e installazione di vetrate panoramiche
amovibili e totalmente trasparenti (VEPA) dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione
dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle
dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche non solo dei balconi o
di logge ma anche di porticati rientranti all’interno dell’edificio, e introducendo una nuova
fattispecie costituita da opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura
principale sia costituita da tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola con telo retrattile
anche impermeabile, tende a pergola con elementi di protezione solare mobili o regolabili, e che sia
addossata o annessa agli immobili o alle unità immobiliari, anche con strutture fisse necessarie al
sostegno e all’estensione dell’opera. La disposizione precisa che le opere in oggetto non possono
determinare la creazione di un organismo edilizio rilevante e, comunque, di uno spazio stabilmente
chiuso, con conseguente variazione di volumi e di superfici, devono avere caratteristiche tecnico
costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e
devono armonizzarsi alle preesistenti linee architettoniche.
Stato legittimo del fabbricato (art. 9-bis del T.U.E.)
Le modifiche più rilevanti riguardano l’ipotesi del fabbricato realizzato in epoca nella quale era
obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio; nella nuova norma si prevede che lo stato
legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare sia stabilito, alternativamente (e non più
congiuntamente come in precedenza previsto):
a) o dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione (o che ne ha legittimato la stessa, come
in caso di sanatoria);
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b) o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha
interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione
competente, in sede di rilascio del medesimo titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli
pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali (ossia
qualora il Comune abbia in passato “espressamente accertato” parziali difformità rispetto al
titolo edilizio, ma non le abbia considerate rilevanti, procedendo, di conseguenza, alla
contestazione dell’abuso).
Per le medesime finalità, è altresì previsto:
(i) che siano ricompresi tra i predetti titoli abilitativi ai fini dello “stato legittimo” anche quelli
rilasciati o formati in applicazione delle seguenti previsioni:
● S.C.I.A. presentata per la regolarizzazione di interventi realizzati come varianti in corso
d’operache costituiscono parziale difformità rispetto al titolo rilasciato prima dell’entrata in vigore
della L. 10/1977 (cd. “Legge Bucalossi) (art. 34-ter del T.U.E.);
● a seguito di accertamento di conformità previo pagamento delle relative sanzioni o oblazioni
(articoli 36 e 36-bis del T.U.E.);
● la cd. “fiscalizzazione” per il caso di annullamento del permesso di costruire ex art. 38 T.U.E.
(disposizione che prevede che il pagamento della sanzione pecuniaria conseguente
all’annullamento del permesso di costruire realizza gli effetti del permesso di costruire in
sanatoria, ex art. 36 del T.U.E.).
(ii) che concorrono alla determinazione dello stato legittimo:
● le cd. “fiscalizzazioni” (per la rimozione di abusi attraverso il solo pagamento delle sanzioni
amministrative) ai sensi degli artt. 33, 34, 37 (commi 1, 3, 5 e 6) e 38 del T.U.E.;
● la dichiarazione in tema di tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del T.U.E. (resa da tecnico
abilitato nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero
con apposita dichiarazione asseverata).
Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1-bis, secondo cui per gli immobili
realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato
legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti
probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto,
pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato
l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli
eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le predette disposizioni si applicano
altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia
disponibile copia.
All’art. 9-bis è aggiunto il comma 1-ter in relazione ai criteri da applicare per la determinazione dello
stato legittimo in caso di un condominio. In particolare, si è stabilito che ai fini della determinazione
dello stato legittimo delle singole unità immobiliari non rilevano le difformità insistenti sulle parti
comuni dell’edificio; che, a sua volta, ai fi ni della dimostrazione dello stato legittimo dell’edificio non
rilevano le difformità relative alle singole unità immobiliari dello stesso.
In sostanza, la nuova disposizione tiene conto di quanto già verificatosi in occasione dei bonus fiscali
per la rigenerazione del patrimonio immobiliare quando molte pratiche relative ad interventi su parti
comuni condominiali sono state “bloccate” causa difformità edilizie riguardanti una o più singole unità
facenti parte degli stessi e/o viceversa.
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Mutamento di destinazione d’uso (art. 23-ter del T.U.E.)
In tema di mutamento di destinazione d’uso, la disposizione in commento detta la definizione di
mutamento di destinazione d’uso “funzionale”, ossia eseguito senza opere, ricomprendendovi anche
le attività di edilizia libera (art. 6 del TU.E.). Viene, quindi, precisato che il mutamento destinazione
d’uso di un immobile o di una singola unità immobiliare si considera senza opere se non comporta
l’esecuzione di opere edilizie ovvero se le opere da eseguire sono riconducibili agli interventi di cui
all’art. 6 (art. 23-ter, comma 1, T.U.E.)
Inoltre, è sempre consentito il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare nel
rispetto delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali
di fissare specifiche condizioni, purché il mutamento avvenga:
● all’interno della stessa categoria funzionale;
● tra categorie funzionali omogenee e tali, a tal fine, sono considerate le categorie residenziale,
turistico-ricettiva; produttiva e direzionale e commerciale, sempreché, in questo secondo caso, si
tratti di singola unità immobiliare ubicata in maggiori immobili ricompresi nelle zone classificate
A, B e C (secondo la suddivisione del territorio comunale in zone territoriali considerate
omogenee secondo alcune caratteristiche, introdotta dal D.M. 1444 del 1968) o in zone
equipollenti come definite dalle leggi regionali in materia, ferma restando la possibilità per gli
strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, inclusa la finalizzazione del
mutamento alla forma di utilizzo conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari
presenti nello stesso immobile; sono previste alcune esclusioni da determinati obblighi
normativamente previsti (reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale,
disposizioni di legge regionale, esclusione del vincolo della dotazione minima obbligatoria dei
parcheggi), mentre resta comunque fermo, ove previsto, il pagamento del contributo concessorio
per gli oneri di urbanizzazione secondaria.
Per le unità poste al primo piano fuori terra o al piano seminterrato, il cambio di destinazione
d’uso è disciplinato dalla legislazione regionale che prevede i casi in cui gli strumenti urbanistici
comunali possono individuare specifiche zone nelle quali i cambi d’uso tra categorie funzionali
omogenee si applicano anche a dette unità (art. 23-ter, commi -bis, 1-ter e 1-quater, T.U.E.).
Per il mutamento di destinazione d’uso è prescritto il ricorso ai titoli edilizi richiamati all’art. 23-ter,
comma 1-quinquies. In sostanza, anche per le ipotesi di mutamento di destinazione d’uso all’interno
della stessa categoria funzionale senza opere è necessario comunque fare ricorso alla S.C.I.A. Non
sono, pertanto, consentiti mutamenti di destinazione d’uso soggetti alla disciplina dell’edilizia libera
(ossia realizzabili senza titolo edilizio) né sarebbe sufficiente ricorrere a una C.I.L.A.
Mentre i nuovi commi 1-bis, 1-ter e 1-quater dell’art. 23-ter disciplinano le ipotesi di mutamento di
destinazione d’uso, con o senza opere, della singola unità immobiliare, il comma 3 dell’art. 23-ter,
come modificato dal D.L. 69/2024, si occupa dell’ipotesi del mutamento di destinazione dell’intero
immobile all’interno della medesima categoria funzionale: detto intervento è sempre consentito
subordinatamente, peraltro, al rilascio dei titoli edilizi di cui al citato comma 1-quinquies, salva diversa
previsione delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali.
L’agibilità
Con l’introduzione di commi 5-bis, ter e quater all’art. 24 del T.U.E., sono previste deroghe in ordine
ai criteri (relativi ad altezze e dimensioni dei locali) prescritti dalla legislazione previgente ai fini del
riconoscimento dell’agibilità; in particolare è previsto che il tecnico progettista abilitato è autorizzato
ad asseverare la conformità del progetto alle norme igienico sanitarie anche nelle seguenti ipotesi:
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● locali con un’altezza minima interna inferiore a metri 2,70 fino al limite massimo di metri
2,40;
● alloggio monostanza, con una superficie minima, comprensiva dei servizi, inferiore a 28
mq., fino al limite massimo di 20 mq. per una persona, e inferiore a 38 mq. fino al limite
massimo di 28 mq. per due persone (comma 5-bis).
L’asseverazione di agibilità, nelle ipotesi di cui sopra, può essere resa ove sia soddisfatto il requisito
dell’adattabilità, in relazione alle specifiche funzionali e dimensionali, previsto dal decreto del
Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236, e sia soddisfatta una delle seguenti condizioni:
● i locali siano situati in edifici sottoposti a interventi di recupero edilizio e di
miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie
● sia presentato un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative per garantire
idonee condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio (comma 5-ter).
Restano comunque ferme le deroghe ai limiti di altezza minima e superfici minima dei locali previste a
legislazione vigente (comma 5-quater), come ad esempio le altezze ridotte previste per gli edifici nei
Comuni montani sopra i 1000 metri.
Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni
essenziali (art. 31)
Il termine di 90 giorni, entro il quale il responsabile dell’abuso deve provvedere alla demolizione ed al
ripristino dello stato dei luoghi, può essere prorogato, con atto motivato del Comune, fino ad un
massimo di 240 giorni nei casi di serie e comprovate esigenze di salute dei soggetti residenti
nell’immobile all’epoca di adozione dell’ingiunzione o di assoluto bisogno o di gravi situazioni di
disagio socio-economico, che rendano inesigibile il rispetto di tale termine.
In particolare, l’opera acquisita può essere demolita, previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla
osta, ai sensi dell’art. 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, purché la demolizione non contrasti,
oltre che con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, anche
con rilevanti interessi culturali e paesaggistici.
In secondo luogo, al fine di introdurre una procedura che consenta ai Comuni la rimozione delle opere
abusive e la successiva valorizzazione del bene o sedime acquisito nel patrimonio del Comune, si
prevede che, nel caso in cui l’opera non contrasti con rilevanti interessi culturali, paesaggistici,
urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, il Comune possa provvedere
all’alienazione del bene e dell’area di sedime, condizionando sospensivamente il contratto alla
effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive.
Il valore venale dell’immobile è determinato dall’Agenzia delle Entrate tenendo conto dei costi per la
rimozione delle opere abusive. Non può rendersi acquirente dell’immobile il responsabile dell’abuso.
Le variazioni essenziali (art. 32)
Viene soppressa la precedente previsione che qualificava come “variazione essenziale” ogni intervento
in parziale difformità dal titolo eseguito su immobili sottoposti a vincolo culturale, paesistico,
ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e
regionali.
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Gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34)
Viene aumentata la sanzione quando non è possibile procedere alla demolizione delle opere eseguite in
parziale difformità dal permesso di costruire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità. La
sanzione, già fissata nel doppio del costo di produzione per gli immobili ad uso residenziale ovvero nel
doppio del valore venale per immobili ad usi diversi da quello residenziale, viene aumentata
rispettivamente al triplo del costo di produzione ovvero al triplo del valore venale.
Le tolleranze costruttive ed esecutive (art. 34-bis)
Con riguardo alle tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis, comma 1, T.U.E., si prevede che, in
relazione agli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, le tolleranze costruttive sono
riparametrate in misura inversamente proporzionale alla superficie utile.
Pertanto, minore è la superficie utile maggiore è il limite consentito percentualmente.
Nel nuovo comma 1-bis si prevedono diversi valori in relazione alle tolleranze entro le quali ritenere
per legge che il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta
e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisca violazione edilizia.
La disposizione prevede che, in relazione ai predetti interventi realizzanti entro il 24 maggio 2024, il
mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro
parametro delle singole unità immobiliari non costituiscono violazione edilizia se contenuto entro i
seguenti limiti:
del 2 per cento delle misure previste dal titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie
utile superiore ai 500 metri quadrati;
del 3 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie
utile compresa tra i 300 e i 500 metri quadrati;
del 4 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie
utile compresa tra i 100 e i 300 metri quadrati;
del 5 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie
utile inferiore ai 100 metri quadrati;
del 6 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie
utile inferiore ai 60 metri quadrati.
Inoltre, si specifica, nel nuovo comma 1-ter, che, ai fini del computo della superficie utile, si dovrà
tenere conto della sola superficie assentita con il titolo edilizio che ha abilitato la realizzazione
dell’intervento, al netto di eventuali frazionamenti dell’immobile o dell’unità immobiliare eseguiti nel
corso del tempo.
Con riferimento, invece, alle tolleranze esecutive, il nuovo comma 2-bis dell’art. 34-bis prevede che
gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 costituiscono tolleranze esecutive (in aggiunta a
quelle già previste dal comma 2) nei seguenti casi:
• minore dimensionamento dell’edificio;
• mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali;
irregolarità geometriche e modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, irregolarità
esecutive di muri esterni ed interni e difforme ubicazione delle aperture interne;
• difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria;
errori progettuali corretti in cantiere e errori materiali di rappresentazione progettuale delle
opere.
La nuova disposizione prevede anche particolari adempimenti in caso di tolleranze costruttive ed
esecutive riguardanti unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche ad eccezione di quelle a bassa
sismicità (comma 3-bis).
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Si prevede, infine, che l’applicazione delle disposizioni in tema di tolleranze costruttive e/o esecutive
non può comportare limitazione dei diritti dei terzi (comma 3-ter).
Casi particolari di interventi in parziale difformità (art. 34-ter)
Dopo l’art. 34-bis, viene inserito il nuovo art. 34-ter, rubricato “Casi particolari di interventi eseguiti in
parziale difformità dal titolo”, che dispone che gli interventi realizzati come varianti in corso d’opera
in parziale difformità dal titolo rilasciato prima della entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977
n.10 (ossia prima del 30/01/1977) e comunque non riconducibili alle tolleranze costruttive/esecutive
di cui all’art. 34-bis, possono essere regolarizzati sentite le amministrazioni competenti. L’epoca di
realizzazione delle varianti è provata tramite documentazione; se non è possibile accertare l’epoca di
realizzazione della variante tramite documentazione, il tecnico incaricato attesta la data di
realizzazione con propria dichiarazione e con propria responsabilità, in caso di dichiarazione falsa si
applicano sanzioni penali.
Il responsabile dell’abuso o il proprietario possono regolarizzare l’intervento mediante presentazione
di una segnalazione certificata di inizio attività e il pagamento di una somma determinata dall’art. 36-
bis. Le parziali difformità realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo
accertate da un sopralluogo, sono soggette alla disciplina delle tolleranze costruttive (art. 34-bis).
L’accertamento di conformità (art. 36 ed art. 36-bis)
Il D.L. 69/2024 interviene in materia con misure semplificatorie per la regolarizzazione di tutte quelle
fattispecie abusive (variazione essenziali e parziali difformità) che pur incidendo sulla commerciabilità
economica degli edifici non incidono, invece, sulla loro commerciabilità giuridica; da segnalare che
nel testo originario del D.L. 69/2024 l’intervento di “semplificazione” era limitato alle ipotesi di
irregolarità di minore gravità (ossia alle sole parziali difformità); in sede di conversione in legge,
invece, la disciplina in questione è stata estesa anche a fattispecie abusive più rilevanti (ossia alle
variazioni essenziali).
La caratteristica dell’accertamento di conformità, così come disciplinato dal T.U.E. sino all’entrata in
vigore del D.L. 69/2024, consisteva esclusivamente nel fatto che la relativa sanatoria poteva essere
chiesta e ottenuta soltanto qualora sussistesse il requisito della cd. “doppia conformità” dell’opera sia
alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della realizzazione sia a quella in vigore al
momento della presentazione dell’istanza.
Il D.L. 69/2024 interviene sul punto prevedendo due distinte fattispecie di “accertamento di
conformità” con diversa disciplina in ordine alla necessità della “doppia conformità”.
A) La prima, disciplinata dall’art. 36 T.U.E., nel testo modificato dal D.L. 69/2024 e per la
quale la sanatoria rimane subordinata alla “doppia conformità” (necessità della conformità alla
normativa urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione che al momento della
presentazione dell’istanza) riguarda le ipotesi di:
● assenza o totale difformità rispetto al permesso di costruire di cui all’art. 31 del T.U.E.;
● assenza o totale difformità rispetto alla segnalazione certificata inizio attività prevista
dall’art. 23, comma 01, del T.U.E. (ossia la S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire).
B) La seconda, disciplinata da un nuovo art. 36-bis, per la quale non è più necessaria la “doppia
conformità” alla disciplina urbanistico-edilizia, riguarda le ipotesi:
● di parziali difformità dal permesso di costruire (art. 34);
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● di parziali difformità dalla S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire (art. 34);
● di assenza o difformità dalla S.C.I.A. “ordinaria” (art. 37);
● di variazioni essenziali (art. 32).
Il suddetto nuovo art. 36-bis prevede, in particolare, che in caso di esecuzione degli interventi di cui
sopra, fino alla scadenza del termine di cui all’art. 34, comma 1, T.U.E. (che dispone la rimozione e/o
demolizione degli abusi fissato nell’ordinanza del Dirigente o del responsabile dell’ufficio) e
comunque fino all’irrogazione delle relative sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso di costruire in sanatoria e/o
presentare la S.C.I.A. in sanatoria se l’intervento risulti conforme:
a) alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda;
b) ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione
dell’intervento.
Aspetti distintivi tra l’art. 36 e il nuovo art. 36-bis del T.U.E.
Per gli abusi di cui all’art. 36-bis, si applica pertanto la distinzione tra conformità alla disciplina
urbanistica e conformità alla disciplina edilizia. Il superamento della cd. “doppia conformità” è,
pertanto, limitato alle ipotesi di parziali difformità degli interventi dal permesso di costruire (art. 10 del
T.U.E.) o dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 34, nonché alle ipotesi di assenza
o difformità dalla S.C.I.A. ordinaria (art. 22 del T.U.E.) di cui all’art. 37 del T.U.E.
Resta quindi confermata la disciplina vigente dell’accertamento di conformità ai sensi della
“doppia conformità” nei casi di assenza, totale difformità o variazioni essenziali rispetto al
permesso di costruire o alla segnalazione certificata inizio attività, di cui all’art. 36 del T.U.E., ai
sensi del quale (comma 3) sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni
decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.
La procedura per l’ottenimento della sanatoria
Per ottenere la sanatoria, infatti, necessitano:
a) la conformità alla disciplina urbanistica in vigore al momento in cui viene fatta la richiesta di
sanatoria (a prescindere invece dalla conformità alla disciplina edilizia vigente al momento della
richiesta);
b) la conformità alla disciplina edilizia in vigore al momento della realizzazione dell’intervento (a
prescindere invece dalla conformità alla disciplina urbanistica vigente all’epoca dell’intervento).
Il rilascio del permesso e la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria sono
subordinati al pagamento di una somma, a titolo di oblazione, pari al doppio dell’aumento del
valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi, e comunque in
misura compresa tra 1.032 euro e 30.987 euro. In caso di rigetto della domanda, si applica la
sanzione demolitoria (comma 5).
Con particolare riferimento ai profili procedurali relativi all’art. 36-bis, viene stabilito che:
sulla richiesta di permesso in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio
comunale si pronuncia con provvedimento motivato entro quarantacinque giorni, decorsi i quali
la richiesta si intende accolta;
per le segnalazioni di inizio attività, si applica il termine di trenta giorni di cui all’articolo 19,
comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241;
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in caso di immobili soggetti a vincolo paesaggistico, i predetti termini sono sospesi fino alla
definizione del procedimento di compatibilità paesaggistica di seguito illustrato.
Decorsi i predetti termini, eventuali successive determinazioni del competente ufficio comunale sono
inefficaci. Tali termini sono interrotti qualora l’ufficio rappresenti esigenze istruttorie, motivate e
formulate in modo puntuale nei termini stessi, e ricomincia a decorrere dalla ricezione degli elementi
istruttori. L’amministrazione, su richiesta del privato, è tenuta a rilasciare per via telematica
un’attestazione riguardo il decorso dei termini del procedimento e dell’intervenuta formazione dei
titoli abilitativi (comma 6).
Interventi realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica
Qualora gli interventi da regolarizzare siano stati eseguiti in assenza o difformità
dall’autorizzazione paesaggistica il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale
richiede all’autorità preposta alla tutela del vincolo apposito parere vincolante in merito
all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento, anche in caso di lavori che abbiano
determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente
realizzati. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180
giorni previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro 90 giorni. Se i pareri non
sono resi entro i termini suddetti si intende formato il silenzio-assenso ed il dirigente o il responsabile
del competente ufficio comunale provvede autonomamente. Tale disciplina si applica anche nei casi in
cui gli interventi da regolarizzare risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data
successiva alla loro realizzazione (comma 4).
Gli interventi eseguiti in assenza o in difformità della S.C.I.A. (art. 37)
La sanzione per la realizzazione di interventi edilizi in assenza della S.C.I.A. o in difformità dalla
stessa, è stata aumentata dal doppio al triplo dell’aumento del valore venale dell’immobile
conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore ad €
1.032,00
Per coordinamento con la nuova disposizione dell’art. 36-bis, nelle ipotesi di parziali difformità e di
variazioni essenziali è stata abrogata la disposizione del comma 4 dell’art. 37 del T.U.E. che prevedeva
la possibilità di ottenere la sanatoria dell’intervento eseguito in assenza della o in difformità dalla
S.C.I.A., qualora lo stesso risultasse conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dell’intervento sia al momento della presentazione della domanda,
versando una somma non superiore a €. 5.164,00 e non inferiore ad €. 516,00 da determinarsi in
relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’Agenzia del Territorio.
Ulteriori disposizioni
Il DL 69/024, peraltro, detta anche disposizioni volte al “recupero” delle strutture amovibili realizzate
durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, con la finalità di consentire il mantenimento di quelle
strutture che si ritengono di utilità sociale, realizzate per finalità sanitarie, assistenziali ed educative.

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